COMMENTI STATICI – 19




Nel suo profondo vidi che s’interna
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna.

Dante
Paradiso, XXXIII




Noi possiamo dedurre da un principio delle immagini, dall’uno il molteplice, ma in maniera imperfetta, poiché la perfezione del pensiero è l’unione stessa di ciò che separiamo ragionando e dicendo principio e immagini, uno e molteplice. Così l’induzione, la penetrazione dell’esterno per rischiarare l’interno, la penetrazione delle immagini e del molteplice, ci porta sostegno, rischiarando l’idea e l’uno.

    A deduzione e induzione corrispondono due guide, l’intuizione e l’analisi. L’intuizione è principiale, perché è essa stessa il principio non analitico del pensiero analitico. Ad esempio in geometria, è intuendo il punto, questo spazio senza spazio, che cominciamo a determinare uno spazio. Così nella percezione: nessuno ha mai visto un cubo, ma tutti abbiamo l’idea di cubo o, con Platone, tutti ricordiamo per anamnesi il cubo ideale, come un’intuizione sintetica atemporale di tutti i lati successivamente percepibili, e sappiamo riconoscerne la manifestazione in questo o quel cubo a un’occhiata. Così in filosofia: è intuendo nel profondo il volume dove tutto è legato, che vediamo intelligentemente ciò che per l’universo si squaderna. Così in cosmologia: come l’universo è un tutto verso l’uno o un uno verso il tutto, è nell’uno che la moltitudine delle creature riflette la propria natura.

  D’altronde anche un multiverso o insieme di universi è un insieme, e se così non fosse non potremmo averne contezza, ossia senza un’unione tra esso e noi, ossia senza una relazione che ne permetta l’intelligibilità. Se l’universo è uno, la deduzione cosmologica è che una è la legge che armonizza la moltitudine delle sue parti. La scienza fisica fa sua questa deduzione nell’osservazione dei fenomeni con cui induttivamente conferma la deduzione che le serve da fondamento, ovvero l’unicità della legge cosmica. La scienza opera come se una fosse la legge del cosmo, ma non può dirne il perché. Il perché si può dire solo partendo da quel centro che non è oggetto di osservazione, ma di intuizione, che evochiamo simbolicamente in vari modi, ad esempio con le parole uno, principio, volume, e da questo, deducendo.

  Per esempio, pensiamo che tutto è particelle-onde. Quindi nulla, fisicamente, ci differisce da una stella o da un lichene, né dalla sedia su cui sediamo, essendo tutti insiemi di particelle‑onde. Allora solo l’intelletto discerne: nulla ancora, nella quantità fisica, determina una forma a cui dare un nome; solo l’idea (che è la forma nell’intelletto) determina cosa sia cosa, cosa sia particella, cosa onda, cosa stella, cosa lichene. Ma perché la scienza si articola nel linguaggio (sia esso alfabetico o numerico) fornendo un discorso sulle cose e sulla propria validità ovvero efficacia (validus significa prestante), è l’intelletto umano – dove la parola o il numero si articola attraverso l’idea alla cosa – a determinarne le possibilità. La validità è un cerchio di cui la verità è il centro; più la validità si estende nelle mente umana come criterio di conoscenza, più amplia il suo raggio, più si allontana dalla verità.

  Per cui il ragionamento analitico-induttivo si corrompe nell’arrogarsi ogni relazione conoscitiva, travalicando il ragionamento intuitivo-deduttivo, come quello della teoresi pura, dove la ragione ragiona della ragione, e da cui invero dipende la bontà di ogni ragionamento. È in relazione all’eternità intellettiva che è possibile definire la temporalità fisica, poiché il tempo è il parto della psiche senza tempo; espunta l’una si espunge l’altra, come nelle equazioni della fisica odierna, dove della variabile t si fa sempre più astrazione. Così è illogico cercare il principio del pensiero nella materia, ad esempio in una relazione elettromagnetica dentro una massa neuronale, quasi che questa relazione non fosse già, da sempre e per sempre, una relazione del pensiero stesso di chi la pensa. O ancora, come situare nello spazio e nel tempo ciò che è in grado di pensare non questo o quello spazio, non questo o quel tempo, ma lo spazio, ma il tempo?

    Se è vero che ogni superiore è tutto dentro e tutto fuori il suo inferiore, il principio del pensiero dev’essere tutto dentro e tutto fuori il pensiero. Il pensiero razionale ci è dato nella forma di un linguaggio articolato. Ciò che è oltre l’articolazione è il continuo e ciò che è oltre il linguaggio è il silenzio. Né la materia quantizzata della fisica è il continuo; né la materia manifesta della fisica è il silenzio, che essendo immanifesto permette la manifestazione (della parola). D’altronde è proprio il silenzio il principio del linguaggio: tutto fuori, perché il silenzio è ulteriore al linguaggio; e tutto dentro, perché il silenzio è ciò senza cui il linguaggio non esisterebbe, ovvero il legame dell’articolazione linguistica, il legame di tutti i segni linguistici di per sé isolati. Il silenzio è l’impalpabile cemento dei singoli mattoni della lingua. Il silenzio permette le costruzioni del linguaggio. Non c’è parola sillaba fonema che non emerga dal silenzio e non vi risprofondi. Non c’è gruppo di parole sillabe fonemi che non si articoli attorno a dei vuoti apparenti, codificati nella scrittura, mobili nell’oralità. Anche per questo, se i segni linguistici significano legandosi, allora il loro legame, il silenzio, è il significato dei loro significati. Altrimenti detto, il silenzio è il massimamente significante.




Federico Pietrobelli