COMMENTI STATICI – 13



… dalle dighe che guidano le tenebre
dal musco che occlude le valli
dai rotti cancelli dell’alba
si manifesta e sgorga
acqua cruda di primavera.

Andrea Zanzotto
Serica

 

Secondo immagine, poesia è cristallizzazione dentro una pietra viva che è il cuore battente ovvero la mente ritmica del poeta. Questa pietra viva, perché avvenga il disvelamento del cristallo poetico, deve trovarsi sulla soglia con la pietra morta del mondo. La frizione con tale pietra morta genera infatti una “ferita”, nella pietra viva del poeta, che è una fonte, da cui il cristallo poetico sgorga assieme a un’acqua che è il fluido verbale in cui è soluto.

   Così come il cristallo della poesia si dissolve nel fluido verbale, quest’acqua cruda che per esso diventa di primavera, acquisendo la sua salatura, il suo sapore unico e dunque vivente, il dolceamaro del vivente, a sua volta il fluido salino del canto si mescola al flusso sanguigno della creatura in ascolto, e così brucia e lo purifica.

   Se il linguaggio è la tecnica della ragione, la poesia fa tendere il linguaggio al suo orlo superiore, alla soglia col silenzio. La poesia guida la mente dal razionale al sovrarazionale, dal discreto al continuo, dalla percezione alla contemplazione. La poesia compiuta mostra il limite linguistico dell’uomo all’uomo: fin qui e non oltre è il tuo dire. Ma tu ora su questo limite vedi oltre. Cos’è? È l’inesprimibile. È dove avviene il fiat.

   Per il poeta, il capoverso, la parola, la strofa, sono altrettanti termini. Vivere una forma è comprendere che ogni suo limite è una soglia: la soglia tra il chiuso e l’aperto, tra il visibile e l’invisibile. Così se il mare è l’aperto e l’invisibile, il poeta si adopera a dire: qui la terra finisce, però non il tuo viaggio. La poesia non genera le ali, ma indica il luogo della metamorfosi.

   La poesia è radicale in due sensi: essa è ellittica; essa è radice. Ellittica perché non spiega, non dimostra, la poesia dispiega, la poesia mostra: è un’icona verbale, è un luogo della Logofania. Radice perché è principio del moto espressivo generale, la poesia rompe i cancelli dell’alba. Non tanto cronologicamente, quanto essenzialmente, come anche l’apparato radicale è contemporaneo al tronco e al ramo. Cita una poesia chi si preoccupi di arte e di pensiero quando voglia svelare il cuore della propria cerca, perché la poesia si pone a metà tra la nuda presenza sonora del grido e la complessa rappresentazione visiva del racconto, e questo suo centro è il centro della mente umana.

   La poesia è lode. La poesia sta sempre dalla parte construens. Se a tratti essa diventa analitica, critica, ovvero si colloca dalla parte destruens, è solo e sempre per preparare il campo alla lode e al suo basso continuo che è il grazie. Sotto ogni parola della bella poesia risuona questo grazie detto al tutto e al niente che esso è di fronte all’inesprimibile. La vocazione si misura su questa pars construens, su questa lodabilità del creato: è capace di poesia chi è capace di lode.

   A tale vocazione rispondono i soavi imperativi dell’ars poetica: ascoltare e meditare, meditare e modulare, non sprecarsi nell’impulso dell’esternare, ma accumulare, come dighe che guidano le tenebre, pensieri e impressioni; e queste tenebre, lasciarle maturare dentro, come le linfe nel fico, radicato sul precipizio, solo contro vento e tempesta, e che darà il frutto più dolce.

   Convogliare le tenebre del pensiero verso l’alba della forma chiede sentimento della direzione e consapevolezza che il nord esiste sempre. Nell’alto mare aperto, quando i punti cardinali non siano più oggetto di insegnamento, il navigante riflette sui minimi segni inalterati e inalterabili della rotta: la stella Polare in fondo al Carro Minore, che brilla sulla quintupla proiezione del segmento più esterno del Carro Maggiore. Ci sono ancora angoli del mondo in cui la notte è bianca di stelle: là tutto è stella Polare, là tutto è nord. Ogni nord, il proprio nord, anche offuscato, anche oscurato, è questo nello scrivere che lo scrittore ricorda. E ancora: che ogni rotta è vera, per quanto lunga e labirintica. I flutti del Secolo egli li accoglie come occasioni in cui misurare la propria attenzione. Ad un certo punto un tratto di mare si appiana, una corrente favorevole si apre, percorribile nella direzione che il navigante ha tenuto a mente.

   La prosa descrive i flutti e a tratti si imbatte nelle strette correnti che portano a nord. La poesia tace i flutti e aspetta la corrente favorevole, la staglia sul vuoto e sul silenzio.

 

 

Federico Pietrobelli