Comme la maturité du génie est la conformité au vrai rapport du bien et du mal, l’œuvre qui correspond à la maturité du génie démoniaque est le silence. Rimbaud en est l’exemple et le symbole.
Così come la maturità del genio è la conformità al vero rapporto del bene e del male, l’opera che corrisponde alla maturità del genio demoniaco è il silenzio. Rimbaud ne è l’esempio e il simbolo.
Simone Weil
Morale et Littérature
Importa commentare questa nota, come sussurrata al vicino attorno al tavolo col pane, e l’ora è già tarda, i lumi sono davvero fiochi. Importa ricordare, in questa penombra, come specificassero il genio gli avi nostri: genius loci. Abita un luogo il genio, che in un mondo puro donato ad occhi puri, è il luogo del vivere stesso: una nicchia nel muro, una spelonca oltre il rivo, una pesta ai piedi della quercia solitaria.
L’arte ha un suo luogo, che è la forma. Per questo il genio è colui che sa eleggere una forma, ovvero creare un luogo: egli traccia il perimetro entro il quale scatenerà o ammansirà le proprie potenze, poiché senza quel perimetro, egli sa, non otterrà da esse alcuna visione, ed esse non assumeranno alcun volto, né sguardo – e l’opera perfetta deve divenire uno sguardo allo sguardo di chi la sappia guardare. Questo perimetro è, nella maturità dell’artista, il perimetro stesso che le Parche gli hanno tracciato. Infatti forma è destino: chi non ha il sentimento del destino, non può avere quello della forma.
Prendiamo il più alto poeta tedesco dello scorso secolo, Gottfried Benn. Guardiamolo, dai flutti ebbri e magmatici giovanili, rinchiudere il suo tesoro di sillabe in scrigni sempre più adamantini, incatenati da maglie sempre più aeree. O come un tappeto intrecciato da dita di bimbo, l’ordito dei pensieri e la trama delle rime, eccoli che s’incrociano via via più indistricabili, le dita si fanno più affusolate, il respiro più serrato, ma in questo tempo corto, anche fulmineo e luminoso, dunque eterno.
Un secolo prima il maturo Rimbaud slaccia, sfilaccia, egli non è più padrone della sua navetta, si lascia andare e andare verso una zona spuria, di visioni gridate quanto personalistiche (“elles n’existent pas”), con passo strascicante, illanguidito (“en mouvant doucement cette cuisse”). Doveva essere Enluminures, Miniature, il titolo della sua raccolta, e diventa quel che sappiamo, Illuminations, titanicamente. Si lascia andare e andare verso la mescolanza delle correnti, nel gorgo buio, quel ragazzo dai neuroni apollinei, che scriveva ballate alle pulci e che ancora sul suo battello scandiva imperturbabile i ritmi della malasorte, con occhio di airone.
Immergersi con avidità nel tempo e nello spazio, altrimenti nel mondo, vuol dire irrevocabilmente non saperne più trovare i limiti (le vrai rapport du bien et du mal), mentre è proprio questo, solo questo, tutto il lavoro dell’artista: poni un limite, chiudi, traccia un solco. Altri possono aprire dibattiti, vogliono aprire discussioni e dialoghi, aprono le menti e ne lasciano la materia grigia all’aria. Invece l’artista – ricordiamoci: le Parche filano – deve chiudere, deve tagliare, deve escludere anche. Ora, lo spazio, la terra sono immensi, qual è il tuo luogo? Ed egli in anni di digiuno nel deserto, tra i venti del Geist e le sabbie della miseria, si è fatto qualche idea, si è fatto un orecchio, e queste idee sono dei pali, l’orecchio le sue mani, e li conficca nella polvere, o nella roccia se necessario, li dispone più o meno in tondo, ne fa un recinto, se lo fa sempre più stretto (canzone, terza rima, sestina), e vi sguinzaglia la sua muta di immagini, e queste debbono o soffocare nella strettezza dell’orizzontalità, o respirare in alto, in volo.
Quel tremendo silence dell’abbagliato è anche il suicidio. È anche l’incapacità, semplicemente, a trovare una frase, un concetto limpidi. È l’involuzione sperimentale in glossolalia d’apparato. Gli esempi, tra quelli che il Secolo osanna come maledetti, originali, eccezionali, sono molti. È il contrario di quello nella torre sul Neckar, di Hölderlin: quartine, sonetti, mit Untertänigkeit, con Umiltà, tratti di una trasparenza che solo la lacrima di un bimbo traduce, e in questa un prisma per i raggi del sole che cala. Davvero, anche se una è la vetta, le strade sono molte.
Federico Pietrobelli